mercoledì 6 giugno 2007

BOLLE PER IL CORTO CIRCUITO

Eccovi alcuni appunti (dette bolle) da eventualmente utilizzare con altre idee.



SORELLA




























VECCHIA MADRE



















DON (ANTONIO detto) BOB






































Giovanni






















Autista del pullman Fausto

























Elvira


















Primissimo piano sulle scarpe indossate da Autista, Elvira, Giovanni, Don Bob, Sorella e Madre.
Dopo l’allargamento del campo si vede il gruppo in attesa e composto, davanti al santuario di Cussanio.




Altra scena: passa un carro funebre con bara. Alla guida un uomo grasso (con abito scuro e camicia bianca). Si ferma. Si avvicina una donna con vistosi stivali rossi.
La carica come passeggera. E' Irina (biondo platino e vistosamente truccata). Primo piano della copia in auto (vista davanti).





























Cambio scena. Davanti al santuario le persone commentano:
Elvira: (avvicinandosi a Giovanni) così all’improvviso chi se lo sarebbe aspettato.
Giovanni: ci spetta tutti la stessa fine.
Elvira: ma lei è un parente?
Giovanni: no un amico. Mi chiamo Giovanni.
Elvira: anch’io sono un amica. Piacere Elvira.
Altra scena, il carro funebre si ferma lungo la strada e l’autista parla al telefono.
Elvira: ti presento Fabio, che ho conosciuto ieri sera.
Cambio scena alla sera precedente ore 21.00 a bordo del pullman. (vedere come riciclare eventualmente parte dei dialoghi da riadattare al funerale anziché al matrimonio).
Elvira: era così giovane e così diversa da tutti. Ma quando si tratta di morire siamo tutti uguali.
Giovanni: si dopo morti si forse, ma prima no. Prima siamo tutti diversi.
La madre scoppia a piangere. La sorella la sostiene.
Elvira: ma tu dove l’avevi conosciuta Manuela.
Giovanni: in un momento molto difficile della mia vita...
Parte una scena che descrive il racconto.
Un auto rallenta e si ferma. Una prostituta alta e formosa sta passeggiando nei paraggi abbigliamento appariscente (è estate fa caldo) T-shirt rosa minigonna nera e sandali rossi.
Si gira e si avvicina. Si vede un rimarcato lineamento maschile nel grosso naso e il largo volto. Ciao io sono Manuela (con voce maschile e non mascherata).

Giovanni: ah ma allora sei un diverso!
Manuela: finalmente, una persona intelligente. Si sono diverso.
Giovanni: scusa, così all’improvviso, non me l’aspettavo e mi è scappato. Ma avrei dovuto dire che siamo tutti uguali.
Manuela: ma no! Lascia perdere i “diversi” come li intendi tu. Ma io volevo proprio dirti che dovremo partire dal presupposto di essere tutti diversi.
Giovanni: scusa ma, non capisco.
Manuela: scendi dai che te lo spiego.
Giovanni: non posso.
Manuela: vuoi fare la sauna li dentro?
Giovanni: ti dico che non posso. Non posso camminare.
Manuela: ti porto io, non ti preoccupare (apre la portiera)
Giovanni: ma cosa fai, sono pesante...dove mi porti? ( e con stupore di Giovanni, lo prende in braccio e lo porta fuori su di una sedia un poco più avanti dietro un cespuglio).
Manuela:nel mio salotto!
Giovanni: scusami ancora per prima.
Manuela: ti volevo appunto spiegare che per questa storia di essere tutti uguali io mi sono rovinato la vita. Per questo ci tengo a sottolineare che ognuno di noi è diverso.
Giovanni: si in effetti, anch’io in questa condizione mi sento molto diverso.
Manuela: e pensa che io per voler essere diverso a tutti i costi mi sono rovinato l’esistenza. A causa di tutte le persone che continuavano a dirmi che non ero diverso ma uguale. Ugualissimo a tutti gli altri uomini. Si perchè avevo il “pisello”. E così non potevo neppure sognare. Avessi potuto sognare, mi sarebbe bastato. Ma invece no. Tutti ad insistere che ero uguale a gli altri uomini. Mi hanno così tolto anche la possibilità di sognare. Almeno sognando avrei potuto essere veramente la bellissima Manuela. E senza sacrifici. Invece ho fatto la pazzia di farmi operare. E sono caduto dalla padella alla brace. Si, l’intervento costava una cifra. Così per risparmiare è stato un intervento mal riuscito. Ho perso il posto di lavoro e non trovavo più nulla. L’unica possibilità di lavorare e stata solo con questo mestiere. Ma questa non era certo la mia aspirazione. Anzi non ti puoi neppure immaginare che fatica doversi depilare, truccare e poi aver a che fare con certi tipi di persone che frequentano quest’ambiente. Un inferno!
Giovanni: ma almeno tu puoi camminare. Io no. Fossi morto sarei stato meglio.
Manuela: ma cosa t’è successo.
Giovanni: ero andato in discoteca, avevo bevuto un poco troppo e preso anche qualche pasticca. Sono partito in auto e non ricordo come sia andata la storia. Mi hanno raccontato che ho centrato in pieno un auto nell’altro senso di marcia sulla quale viaggiavano cinque ragazzi. Tutti morti. Questo è il peso più grande che dovrò portarmi dietro per tutta la vita. Questo mi pesa come un macigno.
Manuela: su dai non farti questi sensi di colpa adesso. Ma non hai possibilità di rimetterti in piedi?
Giovanni: secondo gli specialisti si. Si tratta di un blocco psicologico. Fisicamente tutto è apposto. Ma io non ce la faccio. Le mie gambe non mi reggeranno mai.
Manuela: ma se ragioni e pensi in questo modo, sei messo male. Devi sognare! Le cose sono possibili solo se noi le pensiamo possibili.
Cambio di scena la telecamera si allontana e lascia pensare che tra i due possa succedere qualcosa.
Altra scena in cui il carro funebre sta girando indietro in una strada in città
La scena si ripresenta davanti al santuario.
Giovanni: si prima di incontrare Manuela, quello era stato il periodo più brutto che io non abbia mai vissuto. Fu quella volta che per la prima volta dopo l’incidente ebbi un erezione. (la mamma singhiozza e la sorella si fa un veloce segno della croce guardando in alto) E da quella volta ho ricominciato a sognare. Ma sognare veramente. No non mi piacciono i travestiti. Ero li ad osservare quella donna e non avevo neppure pensato che potesse essere stata un uomo. La osservavo e mi immedesimavo in lei come parte di un mondo di esclusi. Un auto compatimento. Un auto commiserazione forse. Mi sentivo solo e disperato. Avevo un terribile bisogno di stare con le persone. Come stavo prima. Ma dall’incidente tutto è cambiato. Si molte persone mi dedicavano attenzioni ma spesso queste attenzioni a me davano fastidio. Mi sembravano inutili, e poi intanto io me ne stavo li sulla sedia a rotelle. E non mi bastava che tutti si spostassero per farmi passare se poi una volta passato rimanevo li solo.
Elvira: ma pensa, sai che Manuela non mi ha mai parlato di te.
Giovanni: non sapeva neppure il mio nome. Ogni tanto passavo li davanti. Dove batteva. Avrei voluto fermarmi. Anzi mi sarei sicuramente fermato. Aspettavo sempre di trovare il coraggio. Inoltre volevo stupirla alzandomi e camminando bene. Come per miracolo. Anche se questo non è un miracolo. È stato grazie alla sua apertura mentale. Alla fiducia che è riuscita a trasmettermi.
Cambio scena: il carro funebre entra in un cimitero, reparto cremazione.
Irina sta telefonando.
Cambio scena: squilla il telefono di Elvira.
Elvira: pronto
Ciao Irina
Ma come?
Quando?
E adesso?
Io!
(Elvira si allontana, intanto continua a parlare al telefono)
Elvira: Giovanni.
(Giovanni si allontana dal gruppo e raggiunge Elvira in disparte).
Giovanni: che cos’è successo?
Elvira: Irina una sua amica che viveva con lei, ha insistito perchè non fosse fatto il funerale religioso ma solo la cremazione e senza alcun rito e senza nessuno. Mi ha detto che Manuela diceva sempre: almeno da morta voglio decidere su quello che ne sarà di me e dei miei resti. Usateli a concimare gli alberi di un bosco in questo modo potrò sopravvivere ancora sottoforma di molecole che passeranno dal terreno alle redici alle foglie al terreno. In eterno.

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